Il tempio, l’unico a croce greca della città vecchia, fu chiuso circa trent’anni fa a causa di dissesti statici. Continua l’impegno della diocesi di Taranto per il recupero degli edifici dell’Isola, sacri e non, che sono di sua proprietà
Angelo Diofano
Nuovo Dialogo
Procedono i lavori di restauro e possiamo sperare di rivedere presto aperto il santuario della Madonna della salute in piazza Monteoliveto, uno dei gioielli della città vecchia dove si affacciano la casa natale di Giovanni Paisiello e l’antica chiesetta di Sant’Andrea degli Armeni. Ne dà notizia il direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici, don Francesco Simone. Tutto ciò non fa che confermare ’impegno della diocesi di Taranto, per mezzo del vescovo Filippo Santoro, per il restauro e la fruizione degli edifici della città vecchia di sua proprietà. I lavori sono ripresi da qualche mese a cura dell’impresa Carratta di Aradeo (Lecce), grazie ai fondi stanziato dalla Regione (per circa un milione e duecento mila euro) che renderanno possibili la risistemazione dell’intera facciata, il consolidamento degli interni, il restauro degli stucchi e delle opere d’arte contenutevi, il rifacimento dei pavimenti e l‘istallazione di un moderno impianto d’illuminazione denominato ‘spettacolarizzazione della luce”.
L’edificio di culto, l’unico a croce greca del centro storico, è chiuso al culto da circa trent’anni a causa di dissesti statici, originati da un fulmine che, durante un temporale, danneggiò la cupola. La costruzione (risalente al 1763) richiama la chiesa del Gesù di Roma; con la maestosa facciata esempio tipico dell’architettura barocco-gesuitica. Con la soppressione dell’ordine dei Gesuiti da parte di Clemente XVI, nel 1773 la chiesa e l’annesso collegio furono acquisiti dai padri olivetani. Così il complesso prese il nome di Monteoliveto, in uso ancor oggi. Quell’ordine rimase fino al 1808, quando fu soppresso a seguito alle leggi napoleoniche. Con il Concordato fra Santa Sede e re di Napoli, nel 1822 ci fu il passaggio ai domenicani, i quali sopra il portale della chiesa apposero il loro stemma, ancor oggi visibile: un cane che regge con i denti una fiaccola, sovrastati da rami incrociati di olivo e di palma. I domenicani restarono fino al 1861, quando furono nuovamente soppressi tutti gli ordini religiosi. Il convento fu quindi destinato a tribunale e a ufficio postale; la chiesa invece nel 1879 fu concessa dal Demanio in uso perpetuo alla confraternita del Rosario. Quest’ultima la mantenne fino al 1923, quando la cedette alla Curia. Nell’aprile del 1924, grazie all’arcivescovo Orazio Mazzella, i gesuiti tornarono in possesso della loro chiesa, che fu elevata a santuario nel 1936 dall’arcivescovo Ferdinando Bernardi.
Il presbiterio è sovrastato da una cupola dipinta a cielo stellato poggiata su quattro pennacchi su cui appaiono le immagini dei quattro evangelisti (autore ignoto del XX secolo). In questa zona erano presenti due tele del ‘600 (autore ignoto) raffiguranti la “Pietà” e “San Nicola di Bari”, attualmente in arcivescovado. A destra dell’ingresso, nell’ordine, si trovano l’altare dedicato all’Arcangelo Raffaele, la statua di San Luigi Gonzaga raffigurato mentre abbraccia paternamente un fanciullo (è il patrono degli studenti), l’altare del Crocifisso (con l’immagine in cartapesta di Cristo Morto) e la statua di San Giuseppe. Frontalmente, da sinistra entrando in chiesa, troviamo: l’altare dedicato a Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, l’immagine di San Francesco de Geronimo, nell’atto di impugnare con la sinistra un crocifisso, la tela del Sacro Cuore di Gesù, la statua di Sant’Anna. Attualmente ospitata nella cappella del Santissimo in cattedrale, la bella icona della Madonna della salute (una tempera su tavola), che era posta sopra l’altare, è una copia di un dipinto venerato in Santa Maria Maggiore a Roma. La Vergine appare vestita con tunica rossa e manto con drappo azzurro bordato di oro; in braccio regge Gesù Bambino con la mano destra benedicente mentre con la sinistra regge un libro. Le corone e i monili furono montati sul dipinto durante la pubblica consacrazione della città a Maria, avvenuta il 3 maggio del 1936.
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