Con grande piacere (e col permesso dell'Autore), condivido questa riflessione di un giovane e promettente pensatore tarantino, il cui valore ho avuto modo di conoscere personalmente nel prestigioso Liceo Classico Quinto Ennio. La riflessione è apparsa sul blog "Spaziofaro" il 31 marzo scorso
di Sirio Scorcia
Tutto è compiuto. I tre colpi di mazza sul portone del Carmine, se da una parte introducono alla festa della Resurrezione, dall'altra serrano un mondo misterioso, una parentesi di storia e mito che va dal giovedì al sabato della Settimana Santa. Non scriviamo queste righe per fornire nozioni e curiosità sui riti pasquali di Taranto, ne per ripercorrere lo sviluppo storico delle due antichissime processioni che si snodano solennemente per le strade della città. Di tali contenuti, in questi giorni, brulica il Web. Tentiamo di ricostruire il significato più profondo di questo evento, di ribadire i motivi della sua necessità.
Viviamo in un'epoca devota al profitto, in cui le insidie del consumismo e del materialismo si sono tristemente affermate, dispiegando la propria gamma di effetti nefasti: la celerità, l'individualismo, l'orizzontalità. Intendiamo per CELERITÀ l'abitudine attuale al consumo immediato, sollecitata dalla globalizzazione: non sono uomo ma consumatore e la mia ansia di consumo deve essere immediatamente saziata, se non consumo non vivo e tutto ciò che non può consumarsi è inutile. Sul piano sentimentale l'abitudine al consumo riduce l'amore a mero godimento, una donna a pezzo di carne, un uomo a brodo di ormoni.
L'INDIVIDUALISMO. Protagonista nella società in cui unico obiettivo è il vantaggio economico, non può che essere l'individuo-possessore, accecato dalla sete di potere e di denaro e pronto, pur di abbeverarsi alla sua sterile fonte, ad opprimere il vicino, a tradire l'amico, a vendere la madre. Non c'è società globalizzata che sia veramente comunitaria. Quanto più crediamo di aprirci al mondo, tanto più ripieghiamo nei nostri miseri ego.
Ancora, l'ORIZZONTALITÀ, che é la incapacità di vedere oltre il proprio naso. La inabilità, tutta moderna, di rivolgersi ad una realtà più grande, di appigliarsi a dei miti attraverso dei riti, di rispondere alla naturale tensione dell'uomo verso l'alto, verso il cielo. Vive nella dimensione orizzontale chi è sprofondato nell'eterno presente, chi non sa concedersi un momento di contemplazione nel rumore della quotidianità.
Cosa c'entra tutto questo con la processione della Addolorata e quella dei Misteri? Tutto. Non può sfuggire, ad occhi attenti, che nella ritualità delle due celebrazioni c'è il superamento dei tre cancri sociali che abbiamo descritto. Nel passo nazzicato dei perdoni c'è la lentezza della riflessione e del sacrificio. C'è la vittoria sul consumo. Non c'è conservazione che non nasca dal tempo. Non c'è pensiero che non nasca dalla calma. Non c'è risultato che non nasca da un lungo sacrificio. Ma anche l'ottica individualistica nel lasso di tempo che va dalla prima apertura della Chiesa di San Domenico al ritorno della Madonna nel Carmine, sembra svanire. La città si fa comunità, si raduna, tutta, ad assistere i propri (con)fratelli, e partecipa emotivamente alla loro passione. Si fa complice del loro dolore. Come in un momento di catarsi collettiva, lo spirito di Taranto si rinnova e ogni tarantino si sente finalmente (e quasi con stupore) fiero della propria appartenenza. Quasi si ricorda, ogni tarantino, che una città è fatta di uomini e donne, di bimbi e anziani, prima che di asfalto e palazzi, mattoni e cemento. Nulla può l'individuo approfittatore e arrivista contro una città, che una e viva, si mobilita per ricordare a se stessa che esiste.
Ma ancora un miracolo: le processioni di Taranto sostituiscono alla orizzontalità, la verticalità. Tre giorni dedicati alla fede, ci permettono di ripristinare il legame col sacro, al di là della forma di devozione. È nel rapporto verticale, con un Dio, con un cielo, con un ordine precostituito che l'uomo è veramente uomo. È uomo chi non si arena nel materialismo, chi non si perde nella trama delle proprie vicende, così insignificanti se misurate sugli assi del tempo e dello spazio. E a questo servono, in fondo, i nostri riti della Settimana Santa: a farci tornare, almeno una volta all'anno, davvero uomini, animali sociali. A concederci la speranza che dopo di noi ci sarà qualcosa, e che non siamo solo polvere nel ciclo eterno della storia.
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