La croce con i simboli della Passione è una rappresentazione della Croce diffusa in tutto l’orbe cristiano, un “tipo” iconografico ben più antico del Crocifisso stesso. Molto brevemente dobbiamo infatti ricordare che per i primi tre secoli della storia della Chiesa, la rappresentazione della Croce fu assolutamente ed esclusivamente simbolica, per diverse ragioni, prima su tutte il fatto che la Croce era ancora usata come strumento di supplizio, e proporlo alla venerazione come simbolo di salvezza doveva apparire quanto meno imprudente. Si preferiva allora dissimulare la Croce in altri simboli o figure; ne è testimonianza il famoso latercolo pompeiano di cui ci siamo occupati in una precedente pubblicazione. Si deve arrivare al quarto secolo per assistere al trionfo della croce, ad opera dell’imperatore romano Costantino il Grande. Al principato di Costantino infatti si fanno risalire due eventi assiali per lo sviluppo successivo della storia del cristianesimo, e quindi anche per l’affermazione dei canoni dell’iconografia della croce: la visione della Croce a Ponte Milvio e il ritrovamento della vera Croce a Gerusalemme. Famosissimo il primo episodio che ci è raccontato, fra gli altri, dallo storico Eusebio: all’imperatore sarebbe apparsa una Croce di luce con la scritta greca “in questo segno vincerai”; la visione sarebbe stata confermata poi da un sogno in cui Cristo stesso avrebbe ordinato a Costantino di usare il segno di croce contro i suoi nemici. L’episodio è chiaramente agiografico, ma il resto è storia: il 28 ottobre del 312 Costantino sconfisse presso Ponte Milvio l’usurpatore Massenzio, rimanendo l’unico Imperatore legittimo d’Occidente; l’anno successivo, con un editto emanato a Milano insieme a Licinio, imperatore romano d’Oriente, Costantino proclamava il Cristianesimo religio licita, ponendo fine alle persecuzioni contro i cristiani. Dopo gli accadimenti del 312 e del 313 iniziò a diffondersi la Croce come oggetto e simbolo di culto e di appartenenza cristiana, anche perché Costantino ne aveva finalmente proibito l’uso come strumento di tortura e di morte.
Ma torniamo al tipo iconografico della Croce con i Simboli della Passione. Questa raffigurazione è correttamente indicata col nome di “Arma Christi”. Anzitutto, come altrove, il nome. L’accezione corretta del sostantivo “arma”, è si quella letterale – armi da combattimento – ma anche quella traslata di strumenti mediante i quali Cristo ha ottenuto la redenzione degli uomini, e quindi mezzi intercessori veri e propri, ai quali è opportuno tributare la giusta venerazione.
Ma c’è una terza accezione, collegata alle prime, molto interessante per noi, che troviamo nel lessico specifico della scienza araldica: col termine di “arme” (arma, al plurale), si intende lo stemma gentilizio, lo scudo, il simbolo araldico, il blasone di una famiglia, di un casato, di un regno. Nel blasone erano e sono raffigurati i simboli che identificano quella famiglia. (...)
Quando, nel Medioevo, tutte le famiglie nobiliari iniziano a dotarsi di un proprio arme, parve opportuno e naturale immaginare uno stemma araldico anche per Gesù Cristo, adorato come vero Re. Insomma, non poteva darsi un re privo di un blasone. Ecco perché, a partire almeno da XIV secolo, troviamo le Arma Christi, la Croce cioè, con i simboli della Passione, che già, come si è detto, erano comparsi come elemento figurativo da diversi secoli, rappresentati in disposizione araldica, nella forma quindi che è giunta fino a noi: non tanti simboli “alla rinfusa”, ma tutti ordinati perché fissati alla Croce. E come blasone di Cristo, la rappresentazione degli Arma Christi, presero ad essere rappresentate, come tutti i blasoni nobiliari, nelle decorazioni di chiese, stucchi e vetrate, o agli incroci di strade o a segnalare il luogo destinato alla fondazione di una nuova chiesa. Ecco i calvari, come quello davanti alla chiesa del Carmine oggi distrutto; e a proposito di decorazioni, ecco spiegate le due Croci dei Misteri, i due Arma Christi, raffigurate a stucco nella parete superiore della Chiesa del Carmine, agli inizi del ‘900, una di fronte all’altra, comprese in una cornice, come finte vetrate di una finta finestra: nelle chiese erano raffigurati i blasoni dei nobili benefattori, dei casati che di quella chiesa, o di quel singolo altare magari, detenevano il giuspatronato, come, per esempio, l’altare della Madonna del Carmine sul lato destro del transetto della nostra chiesa. È significativo allora che la Confraternita del Carmine, oltre al proprio arme, abbia a suo tempo fatto raffigurare quello di chi era sentito come il “padrone di casa” di quella chiesa, nessun altro che Gesù Cristo.
Ma se la Croce dei Misteri, che immaginiamo presente sin dagli inizi della processione del Venerdì Santo, era a quei tempi vista e interpretata come un blasone araldico, dobbiamo ripensare anche al suo “ruolo” originario in quella primitiva processione: non soltanto una croce processionale, come oggi è giustamente interpretata, ma anche un annuncio di “Chi” sta per sfilare in processione. Insomma, come il corteo di un principe, di un feudatario, doveva essere aperto dal suo blasone che ne annunciasse l’arrivo, così la processione del Venerdì Santo era aperta dal blasone di quel defunto così illustre di cui stava per passare il feretro.
E forse c’è ancora dell’altro, e torniamo agli Arma Christi intesi come strumenti di supplizio per Cristo, e di salvezza per noi. Abbiamo visto come la maggior parte di essi rimandava a reliquie realmente conservate da qualche parte. E per ognuno di quegli oggetti esisteva un culto ed erano concesse le relative indulgenze. La presenza di un oggetto come la Croce dei Misteri, alla testa della processione penitenziale del Venerdì Santo, doveva di fatto costituire una sorta di memento per i fedeli che partecipavano a quella processione, delle indulgenze che era possibile lucrare, non diversamente dalla conchiglia sul petto dei pellegrini, o dalle già citate medaglie della Veronica e della Sacra Lancia, alla cintola dei Romei. Insomma, questa processione del Venerdì Santo delle origini, dobbiamo immaginarla come un grande rito di penitenza collettiva, in un florilegio di preghiere indulgenziali che, come oggi, attingevano al tesoro dei meriti di quel Cristo che si stava onorando proprio nel giorno della sua morte; un rito collettivo, per una società che, molto più della nostra, era veramente cristiana, per Confratelli e fedeli, per i quali, segni e i simboli dovevano essere molto, molto più eloquenti di quanto non siano per noi oggi, noi che almeno abbiamo il dovere di tentare di recuperare un po’ di quella consapevolezza che per i nostri maiores, forse meno scolasticizzati di noi ma tanto più sapienti delle cose di Dio, doveva essere così naturale.
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