Tornano le domeniche di Quaresima; fra le vetuste mura delle chiese di San Domenico nel centro antico, e del Carmine, al Borgo umbertino, tornano a risuonare le dolcissime melodie della Via Crucis composta dal padre Serafino Marinosci.
La pia pratica della Via Crucis, un tempo “patrimonio” devozionale del solo Ordine dei Frati Minori, promossa da San Leonardo da Porto Maurizio, diffusa ormai capillarmente in ogni parrocchia, chiesa, oratorio della Cristianità, costituisce un momento “forte” e particolarmente sentito nella vita delle due Confraternite tarantine depositarie da almeno tre secoli delle tradizioni legate alla Settimana Santa.
È per questo motivo che la Confraternita dell’Addolorata e la Confraternita del Carmine, dedicano particolare attenzione e cura all’organizzazione della Via Crucis nelle domeniche di Quaresima.
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La Via Crucis è celebrata forse in tutte le chiese cattoliche del mondo; ma quello che rende davvero speciali le Via Crucis al Carmine e a San Domenico, così attese, preparate e partecipate, sono sicuramente quei sedici brani che il padre Marinosci compose proprio a Taranto ormai più di un secolo fa.
Era infatti il 3 aprile del 1891 quando padre Serafino Marinosci emise nel convento tarantino di San Pasquale Baylon, lo stesso in cui aveva soggiornato il giovane Sant’Egidio Maria di San Giuseppe, la professione dei voti solenni che lo incorporavano per tutta la vita all’Ordine Alcantarino, riforma iniziata da san Pietro d’Alcantara in seno alla famiglia religiosa del Serafico Padre san Francesco.
Era nato nel brindisino, Francavilla Fontana, nel 1869 e sin da giovanissimo Francesco – questo il suo nome di battesimo - aveva mostrato la sua propensione per la musica e i segni della sua precoce vocazione religiosa e sacerdotale. Proprio a Francavilla, nel convento francescano di Santa Maria della Croce ottenne i suoi primi successi di pubblico esibendosi all’organo.
Nel 1887 a Galatone vestì l’abito dei Frati Minori e assunse il nome di frate Serafino della Purità. E finalmente pochi anni dopo giunge a Taranto dove, come dicevamo, nel 1891 compie la sua professione solenne per essere poi ordinato sacerdote l’anno successivo. Era allora Vescovo di Taranto, mons Pietro Alfonso Jorio.
Il convento di San Pasquale si trova oggi ormai nel cuore del Borgo, ma allora era praticamente in campagna, come del resto prevedevano le indicazioni della Riforma Alcantarina: la condizione di giusta quiete insomma che favorì padre Serafino nella composizione delle quattordici stazioni, l’introduzione e il mottetto alla Vergine Desolata che costituiscono quella Via Crucis che, nel giro di pochi anni, si diffonderà forse molto più di quanto padre Serafino non avesse mai immaginato.
Si trattenne a Taranto solo fino al 1894 quando fu trasferito a Lecce e in seguito a Napoli dove, nel convento san Pasquale a Chiaia, il 21 novembre del 1919, ad appena cinquant’anni rendeva l’anima a Dio. San Pasquale a Chiaia, ancora una volta sui passi già percorsi dal Santo tarantino, Sant’Egidio Maria.
Di lui rimasero i tantissimi componimenti, i Tantum ergo Sacramentum, gli inni alla Madonna e soprattutto la celebre Via Crucis. Quella Via Crucis che le Confraternite del Carmine e dell’Addolorata hanno sentito sin da subito vicinissima alla propria spiritualità con cui da secoli già vivevano e testimoniavano la Passione del Signore con i riti della Settimana Santa. La Via Crucis fu infatti continuata ad essere eseguita nelle chiese del Carmine e di San Domenico, prima dai solisti e, dagli anni ’70 dalle corali.
A proposito dei testi della Via Crucis, è possibile leggere ovunque che la paternità delle strofette sia da attribuire addirittura a Pietro Metastasio. Tuttavia è lo stesso Metastasio ad informarci di non aver mai scritto alcuna Via Crucis! Il testo che segue è di una lettera scritta dal Trapassi a Vienna l’8 marzo del 1749, ed indirizzata al sacerdote bolognese don Luigi Antonio Locatelli:
Non v’è più giusto risentimento di quello che nasce in V.S. illustrissima dal vedersi defraudar la gloria de’ proprj sudori, né premura più commendabile che quella di riacquistarla. Non è mio solamente, ma comun interesse d’ogni scrittore l’entrar seco a parte e dell’uno e dell’altra, ond’eccomi prontissimo a pubblicar, quante volte le piaccia, ch’io non ò mai scritto né pensato il componimento intitolato la Via della Croce, a cui, secondo ella si compiace avvisarmi, attribuisce il mio nome lo stampatore Bolognese. Io sono così poco reo di questo furto che, avendolo ignorato fin’ora, sono esente fin dalla compiacenza alla quale avrebbe potuto sedurmi un error che mi onora. So per altro buon grado a chi mi à procurato per questo, benchè obbliquo cammino, l’acquisto della sua amicizia. La prego di somministrarmi occasioni di meritarla, e a credermi intanto.
METASTASIO
Vienna, lì 8 marzo 1749
Il don Luigi a cui Metastasio indirizza la sua missiva è un predicatore bolognese che allora aveva circa 38 anni, essendo nato nel 1711. Morirà poi nel 1780. Non sappiamo chi sia lo stampatore bolognese cui Metastasio fa riferimento, ma sappiamo che lo stesso Locatelli pubblicherà la Via della Croce data in luce a consolazione dei divoti di questo santo esercizio, questa volta col giusto nome, qualche anno più tardi, nel 1755, a Modena per i tipi degli Stampatori Ducali Eredi di Bartolomeo Soliani.
E allora di quale testo si servì padre Serafino per la sua Via Crucis? Un testo di sicuro già popolarissimo: in quegli anni le strofette furono musicate in moltissime soluzioni diverse da altrettanti compositori. Forse si servì proprio del testo di don Locatelli? Forse utilizzò alcune fra le tantissime strofette attribuite all’apostolo della Via Crucis, il già citato san Leonardo?
La risposta potrebbe trovarsi nella biblioteca del Reale Convento Francescano di San Pasquale a Taranto: quali testi aveva a disposizione per la consultazione padre Serafino? Sicuramente poteva consultare il celebre Manuale di Filotea del milanese don Giuseppe Riva, un autentico best seller per l’epoca: alla morte dell’autore, nel 1876, aveva raggiunto la ventiduesima edizione, e nel 1903 avrebbe raggiunto la trentasettesima. I testi che don Riva associa alle stazioni - con buona approssimazione - sono proprio quelli utilizzati dal Marinosci. Appurato che non si tratta di testi del Metastasio, resta da attribuirne la paternità.
La faccenda andrà sicuramente approfondita.
Dopo più di un secolo dalla sua composizione la Via Crucis del Marinosci – ma a questo punto, non del Metastasio – non solo non mostra i segni del tempo, ma conserva inalterata la sua originaria capacità di parlare ai cuori e, per essi, di alimentare la fede, la sua capacità di riempire le chiese di fedeli che, ascoltando quelle dolcissime melodie, hanno chiara consapevolezza di vivere un momento di preghiera e di compassio Domini.
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