Riprendiamo dal quotidiano cattolico "Avvenire" del 20 marzo scorso, un bell'articolo del giornalista Andrea Galli sulla Settimana Santa tarantina e in particolare sull'ultimo libro "I Misteri a Taranto. Simboli e Simbologia".
Andrea Galli
Avvenire, 20/3/2016
La Settimana Santa, culmine dell’anno liturgico, è accompagnata in non poche parti d’Italia, soprattutto nel Meridione, da manifestazioni della pietà popolare che raggiungono anch’esse il loro acme di intensità, visibilità, partecipazione popolare. Al Sud la Puglia ha un posto di riguardo in tal senso e Taranto è forse la città che conserva la tradizione più elaborata, di maggiore impatto scenico e sulla vita sociale. Sì perché lì i riti tradizionali della Settimana Santa sono l’evento per antonomasia, attesi con un’ansia che si può affiancare a quella che c’è a Siena per il Palio, per usare un paragone profano ma accessibile a tutti. Il ruolo delle confraternite, l’incedere lento e solenne di fedeli incappucciati per le vie del centro, le estenuanti processioni lungo il giorno e la notte, con centinaia di protagonisti in ruoli regolati da norme che si perdono nella notte dei decenni o dei secoli, lo sforzo fisico nel trasportare a spalla statue omaggiate come scrigni dell’anima di una città, oltre che simboli di fede, tutto questo crea un’atmosfera che sembra immune dall’usura del tempo e della secolarizzazione.
Nel passato anche recente si è molto parlato a proposito di tradizioni simili e Sud della necessità di recuperare un equilibrio, dell’evitare derive mondane, di purificare lo spirito con cui vengono celebrate. «Desidero fortemente conservare e custodire le tradizioni della Settimana Santa», ha detto nel 2013 Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, aggiungendo: «E di farle risplendere della bellezza e della semplicità evangelica». Quasi per rispondere a questo desiderio, Giovanni Schinaia, studioso di tradizioni locali, ha pubblicato ne I Misteri di Taranto. Simboli e simbologia (Edizioni Edit@, pagine 240, euro 16), un’analisi puntigliosa della simbologia che innerva in particolare – un particolare per il tutto, a mo’ di sineddoche – l’ultima processione della Settimana Santa, quella detta dei “Misteri”, che prende avvio nel pomeriggio del Venerdì per chiudersi la alle 7 della mattina successiva e che vede al centro la Confraternita del Carmine.
Dai cappucci bianchi con due minuscoli fori, che discendono dalla tradizione monastica e hanno il senso di mantenere lo sguardo di chi li porta fisso su Gesù; al passo oscillante con cui avanzano gli attori del processione, la “nazzicata”, un dondolio che diventa una sorta di litania corporale; alle mozzette dei loro abiti, che richiamano le cappe dell’abito carmelitano, che a loro volta discendono dal mantello dei primi monaci ritiratasi sul monte Carmelo nel XII secolo, cavalieri crociati in disarmo; in questo e molto altro il volume riporta alla sua luce originaria aspetti e dettagli della Settimana Santa popolare che rischiano di scivolare nel semplice folklore: pittoreschi, ma muti. Mentre sono quei segni ad aver parlato a generazioni di fedeli come un catechismo visivo.
Schinaia racconta di quando da bambino, di fronte a una delle statue della processione, quella dell’Ecce Homo, raffigurante Gesù flagellato alla colonna, un anziano membro della Confraternita del Carmine gli spiegò così il significato di quelle parole latine: «Ce òmo», che in dialetto tarantino significa «Che uomo, che bell’uomo». Un qui pro quo che può far sorridere, spiega l’autore. In realtà, pensandoci, quel confratello senza latinorum aveva capito benissimo, nella sua semplicità, una profonda verità teologica.
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