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mercoledì 11 gennaio 2017

Dal Bambinello al Crocifisso. La grande sapienza teologica dei nostri padri dietro un unico modello iconografico



Il Crocifisso dei Misteri ha delle caratteristiche iconografiche ben precise che, mediato attraverso l’arte “di provincia” della cartapesta salentina, rimanda a un gusto tutto napoletano di primo ottocento (...)

Questo tipo iconografico del Crocifisso costituisce anche l’archetipo ideale per le più comuni raffigurazioni di Gesù Bambino.
Il Bambinello può essere raffigurato in due modi: con la sinistra sul petto e la destra benedicente, oppure con entrambe le mani allargate. Proprio quest’ultima postura rimanda all’iconografia del Cristo in Croce, di cui il “mistero” del Bambinello a Betlemme, costituisce una prefigurazione. Ma la posizione della gambe diventa rivelatoria di gusti iconografici più precisi. Il Bambinello è raffigurato sempre con il capo leggermente voltato da uno dei due lati, e con una della gambe leggermente più avanti dell’altra. Gli artisti hanno praticamente teso a replicare nella figura di Gesù Bambino nella mangiatoia, la posizione di Gesù in Croce

Proprio nel 2015 la Confraternita del Carmine ha provveduto a far realizzare un nuovo Bambinello da utilizzare per la processione del 6 gennaio. Il simulacro, a grandezza naturale, è stato realizzato a Lecce dall’artista Massimo Gallucci. (...)
Il Gesù Bambino realizzato da Gallucci ha le stesse caratteristiche iconografiche del Crocifisso dei Misteri: oltre alle “classiche” braccia aperte, la testa è leggermente voltata a destra, la gamba destra più su rispetto alla sinistra. Gli artisti sapevano che andava fatto in quel modo, sapevano che la fantasia artistica doveva necessariamente essere contenuta in canoni ben precisi. Spesso poi nel tempo è andata perduta la consapevolezza del perché di un modello iconografico; bastava sapere che andava fatto in una certa maniera e non in un’altra. Perché si. Del resto è quanto sperimentiamo sulle “nostre cose”. Lo abbiamo già detto: quante volte capita, proprio a proposito della Settimana Santa, che un rito, una consuetudine, una posizione, venga mantenuta senza avere la piena consapevolezza non solo della sua ragione, ma anche del fatto stesso che, alla sua origine, una ragione ci sarà pur stata. Eppure continuiamo tenacemente a conservare quel rito, a trasmetterlo a chi verrà dopo di noi, come a nostra volta lo abbiamo ricevuto da chi è venuto prima. La consapevolezza è importante e, in questi tempi di modernismo postcattolico violento dilagante, è ormai irrinunciabile. A ben vedere però, quella spontanea ingenuità, quella inconsapevolezza, con cui si mantengono certi riti senza conoscerne le motivazioni o le ragioni pastorali e teologiche, restituisce una caratteristica che per ogni Confratello dovrebbe essere un vanto: una dimostrazione di autentica pietas filiale, più che un vago, laico “rispetto”, una fiducia assoluta e incondizionata in chi ci ha preceduto e ci affidato questi
riti. Se “loro” hanno fatto così, avranno avuto delle ragioni. Tanto basta perché si continui a fare nello stesso modo, pur rimanendo un dovere morale verso noi stessi e verso la storia di cui siamo eredi, investigare le cause, riappropriarsi delle ragioni delle scelte di allora, sottratte all’oblio del tempo. E si, perché i Confratelli di oggi non sono meri esecutori testamentari dei Confratelli del passato, non sono figuranti di una rievocazione storica. Riappropriarsi della consapevolezza significa permettere alla tradizione che si ama di continuare a esistere per come è nata: una tradizione viva, capace di parlare ai fedeli di oggi come a quelli di ieri, nel medesimo linguaggio con cui la nostra Settimana ha sempre parlato, il linguaggio della carità e della penitenza.
Ma torniamo al nostro Gesù Bambino, anzi al nostro Crocifisso. Chi si lamenterà della commistione di “cose” natalizie con i Riti della Settimana Santa, deve sapere che la sua è una polemica più protestante che cattolica
Le melenserie natalizie, con tutta la paccottiglia pagana legata a un non meglio identificato “spirito Natalizio”, è roba nuova di qualche secolo, e che da qualche decennio si è fatta aggressiva e virulenta grazie soprattutto all’occupazione sistematica dei mezzi di comunicazione, tutta roba che non ha a che fare con la vera tradizione cattolica.
La verità è che la Passione di Cristo ha inizio non la domenica delle Palme, ma il giorno dell’annunzio dell’Angelo a Maria, il giorno del concepimento virginale. Il mistero del Natale è già Settimana Santa, perché sulla grotta di Betlemme già incombe la Croce che a quella nascita dà un senso e una direzione precisa. Contemplare il Bambinello, che nella postura già si presenta crocifisso, significa contemplare la prefigurazione della Croce, con buona pace dei professoroni che a Natale si rivestono di autorità teologica e rimproverano ai Confratelli di pensare già alla Settimana Santa.

Diciamolo una volta per tutte e senza vergogna: Natale è già Settimana Santa. Lo sapevano bene i nostri padri che hanno voluto raffigurare il Gesù Bambino “all’erte”, quello che esce in processione il 6 gennaio dalla Chiesa di San Domenico, a cura della Confraternita del SS.mo Nome di Dio, con la mano destra benedicente e con la sinistra a lambire una croce e una corona di spine, ancora verde, ma già presente. Lo sapevano bene gli artisti che hanno sempre raffigurato Gesù Bambino, abbiamo detto, nella posizione del Crocifisso; lo sapevano bene i santi come san Alfonso Maria de Liguori, autore di quel “Tu scendi dalle stelle”, madre di tutte le pastorali natalizie, con un testo struggente e tutto proiettato verso il mistero della Croce.
Lo sapevano tutti perché è scritto nei Vangeli. Il racconto della Passione, in Matteo e Luca, gli unici che ci parlano un po’ dell’infanzia di Gesù, di fatto ha inizio col prologo. Anzi, di tutti e quattro i Vangeli si può dire che, da un punto di vista strettamente tecnico narratologico, sono dei racconti della Passione con un più o meno lungo preambolo.



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