Dove non diversamente indicato, gli articoli, le immagini e i video sono di Giovanni Schinaia, autore di questo blog.
Ogni contributo (articoli, testimonianze, recensioni, avvisi, immagini, video) sui temi inerenti questo blog, giungerà molto gradito. La condivisione di immagini in questo blog ha solo scopo promozionale e divulgativo, e non commerciale; non intende essere in alcun modo una forma di concorrenza sleale nei confronti di Fotografi professionisti. Per questo motivo le immagini sono proposte in formato ridotto (lato orizzontale 400-800 px) e con filigrana.
Chiunque volesse, può far riferimento al seguente indirizzo email:

lunedì 24 marzo 2014

La pietà popolare nell’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa di oggi

Chi mi conosce lo sa: se potessi scegliere, a scuola mi occuperei solo di Latino e Greco!!
Ma non posso scegliere... ed è per questo che, in 13 anni di insegnamento, ad alcuni alunni è capitata la trista sventura di avermi come insegnante di italiano!!
Sventura, si. Quando mi occupo dell'insegnamento dell'italiano sono veramente un rottura di scatole. Pesante, pignolo, pedante, fissato....
Eppure c'è una cosa che non ho mai fatto. Correggendo temi ed elaborati vari, non mi è mai passato per la mente di interpolare un testo. Correggere gli errori di grammatica, si. Aggiustare il modo o il tempo di un verbo, vabbè. Raddrizzare qualche concordanza, ci può stare.
Aggiungere e levare, però, è tutta un'altra storia.

Un testo scritto nasce dal cuore e dalla testa. Del cuore e della testa riproduce quasi un'immagine: e lo fa mediate la scelta lessicale, la sequenza e la consequenzialità dei concetti, l'ordo verborum, la struttura sintattica, le corrispondenze interne, i rapporti di simmetria e alternanza fra le figure retoriche, e finalmente l'architettura complessiva.
L'insegnante che corregge un elaborato non ha alcun titolo per interpolare. Quel testo è l'immagine del cuore e della testa di chi l'ha prodotto. L'insegnante può segnalare una perplessità, un punto che gli pare oscuro. Ma un qualsiasi aggiustamento può venire solo dall'autore primo. Un autore che può al limite essere guidato, consigliato, se lo ritiene opportuno. Mai sostituito. Sarebbe un gesto di culturismo, non di cultura; un gesto di saccenteria, non sapienza; un gesto di sprezzante sfoggio, non di insegnamento.

Interpolare un testo equivale a tagliuzzarlo. In entrambi i casi si tratta di un latrocinio, di idee o di parole, cambia poco. E poco importa se nelle redazioni "si usa così". Un testo è un testo, che ci si trovi a scuola, al catechismo, o nella redazione di un giornale. Un testo è un testo. Tagliarlo o interpolarlo significa trattarlo come  una spesata al mercato... due kg di tuzzabancone.... sono due etti in più... che faccio? Lascio? Aggiungo?

Sul corriere del giorno del 22 marzo 2014, è stato pubblicato un mio articolo... meglio: quel che rimaneva di un mio articolo. Il pezzo pubblicato risulta pesantemente interpolato rispetto a quello che avevo inviato, per di più interpolato in modo maldestro. Ma non è una questione di quantità o di qualità: se versi un bicchiere di monnezza in un bidone d'acqua pulita, non ottieni acqua "quasi pulita"... ottieni monnezza, non si sfugge.

Per chi fosse interessato, riporto qui di seguito il pezzo originale:



La pietà popolare nell’azione missionaria ed 
evangelizzatrice della Chiesa di oggi




Una chiesa “in uscita”, in uno “stato permanente di missione”: un’evangelizzazione “caratterizzata dalla gioia dell’annuncio”. Questa la strada indicata dal Santo Padre Francesco per il cammino della Chiesa nei prossimi anni. Una chiesa che ha evidentemente ancora bisogno delle espressioni della pietà popolare. È ancora il Papa ad assicurarlo, riconoscendo quella pietà popolare come “autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio”. Nella pietà popolare, continua il Papa, “lo Spirito Santo è il protagonista”. È importante cogliere la continuità del pensiero di Francesco, con quanto espresso dai suoi predecessori che, a partire da Paolo VI, hanno in più occasioni invitato a superare quella sorta di diffidenza e sfiducia con cui, in certi particolari frangenti storici, è stata guardata questa modalità di vivere la fede.

Alla pietà popolare il Santo Padre dedica ben cinque numeri dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, nel capitolo dedicato all’annuncio del Vangelo. Non deve sfuggire l’importanza di questa collocazione. La pietà popolare è sì l’espressione dell’identità di un popolo, meritevole di attenzione e studio anche da un punto di vista storico antropologico. Ma è la prospettiva ecclesiologica offerta da Francesco a rappresentare il vero tratto di originalità. Collocata com’è nel capitolo dedicato all’annuncio, la pietà popolare non è più solo quel “tesoro prezioso per la Chiesa”, da custodire, proteggere e tramandare per quella che è, nella sua staticità e immobilità, quasi fuori dal tempo, come un reperto in un museo. Il suo valore, nell’oggi della Chiesa, sta invece proprio nel suo dinamismo, nel suo essere espressione del Vangelo inculturato nelle diverse identità dei popoli cristiani; in definitiva, il valore della pietà popolare è tutto nella sua forza missionaria, nel sua capacità di parlare all’uomo di oggi, al suo cuore piuttosto che alla sua “ragione strumentale”, mediante simboli piuttosto che concetti, ma non per questo senza un contenuto teologale, manifestazione quindi dell’azione dello Spirito Santo. Una prospettiva originale quella offerta dal Papa: entusiasmante per quanti già sono protagonisti di questa modalità di vivere la propria fede; e quasi provocatoria, per quanti, dentro e fuori la Chiesa, in questa modalità tendono a vedere solo una forma di passatismo.

Cita il documento di Aparecida, il Papa. Lo aveva già fatto un anno fa incontrando in Piazza San Pietro le Confraternite di tutto il mondo per la giornata internazionale della pietà popolare nell’Anno della Fede, e in questa occasione quasi approfondisce, in senso operativo, il discorso iniziato già allora. Accenna alla tradizione “popolare” del pellegrinaggio, una pratica che “porta con sé la grazia della missionarietà”: il “camminare insieme”, cita ancora il Papa dal documento di Aparecida, “portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione”. E accenna poi alla pia pratica più diffusa nell’orbe cristiano, il Santo Rosario, e ancora a “quegli sguardi di amore profondo a Cristo crocifisso”, riferendosi chiaramente alle tradizioni legate alla devozione per la Passione del Signore e per i Dolori di Maria; tradizioni molteplici e variegate, quanti sono i popoli in cui si è inculturato l’annuncio cristiano, popoli che, ricorda il Papa, in questo modo evangelizzano continuamente se stessi, rendendosi soggetti attivi e insieme destinatari dell’opera missionaria.

È una forza missionaria che il Papa invita a non coartare né pretendere di regolare; la conclusione del Papa è un invito ai pastori – molto bello in questa occasione l’uso del “noi”, per intendere la pluralità dei vescovi con a capo Pietro – nello stile amorevole e insieme deciso che in un anno di pontificato abbiamo imparato a conoscere: “Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare”. Sottovalutare quella forza evangelizzatrice, conclude Francesco, “sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla”





Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono soggetti a moderazione.
I commenti anonimi saranno cestinati.