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mercoledì 21 gennaio 2015

Pietà popolare E' carità

Convegno Diocesano della Confraternite
della Diocesi di Molfetta - Ruvo - Giovinazzo - Terlizzi
Museo Diocesano di Molfetta
27 novembre 2014

Sintesi dell'intervento su Pietà Popolare e Carità tenuto da Giovanni Schinaia

Parlando di “Pietà popolare e carità”, dovremmo più correttamente dire: pietà popolare E’ carità; “e” con l’accento. Voglio dire: la pietà popolare deve essere carità altrimenti smette di essere quel che deve essere.
Per spiegarmi è necessario fare un piccolo passo indietro. Cosa vogliamo dire per pietà popolare rettamente intesa ce lo ricorda il Papa stesso: era il 5 maggio del 2013 e papa Francesco in una piazza San Pietro gremita, e battuta da una pioggia che sembrava non finire mai, incontrava migliaia e migliaia di Confratelli e Consorelle convenuti a Roma da tutto il mondo; era la giornata mondiale delle Confraternite e della Pietà
Immagine da confraternitasantantoniomolfetta.it
Popolare nel contesto dell’Anno della fede. In quell’occasione il Papa ci disse che “la pietà popolare è una strada che conduce all’essenziale”. E cos’è l’essenziale? Ce lo dice sempre il Papa un passaggio prima: l’essenziale è “credere in Gesù Cristo morto e risorto per i nostri peccati, e amarsi come Lui ci ha amati”
In altre parole, il Papa ci dice che la pietà popolare è una strada d’amore, un percorso di fede che ci conduce alla Verità, che è Cristo, attraverso le opere, cioè attraverso quell’ “amarsi come lui ci ha amati” che ricorda il Papa. In questo senso, l’insegnamento di Papa Francesco si pone in assoluta continuità con quello del suo predecessore, l’amato papa Benedetto XVI. Nella sua Enciclica “Deus Charitas est” e nel M.P. Intima Ecclesiae natura, Benedetto ci ricorda che l'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza.
E allora capiamo bene perché poi papa Francesco, nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, quasi a continuare il ragionamento di Benedetto, ci viene a dire che, se l’annuncio, il Kerygma esprime la natura intrinsecamente missionaria della Chiesa, da questa natura, discende necessariamente “la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.” (179) e poi ancora: “la missione dell’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo possiede una destinazione universale. Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. Nulla di quanto è umano può risultargli estraneo » (181). Poco più in là, sempre nell’Evangelii gaudium, Francesco continua: “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro « considerandolo come un’unica cosa con se stesso” (199)
Immagine:
Sito Diocesi di Molfetta
Il papa salda quindi in unico blocco, l’annuncio missionario e le opere di carità fattiva; la stessa fede, veicolata con strumenti diversi e complementari. Su tutto, il culto reso a Dio, anzitutto nella celebrazione liturgica,  anzitutto nella celebrazione del sacrifico perfetto, la Santa Messa, quella liturgia culmen et fons, culmine e fonte della vita di tutta la chiesa, come già insegnava il grande Pio XII, ripreso qui dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosantum Concilium.
Missionarietà e carità, quindi, l’una dentro l’altra, l’una per l’altra. Si potrebbe obiettare che il papa fa qui un discorso generale, rivolto a tutta la Chiesa, a tutte le sue componenti. Una Confraternita è invece una realtà specifica, che si deve occupare di quei pii esercizi che i nostri padri ci hanno tramandato. Anzitutto è evidente che ciò che è vero per la Chiesa in generale è tanto più vero per una qualsiasi realtà ecclesiale, come le nostre Confraternite, che presuppongono una più radicale scelta di vita evangelica. L’adesione alla Confraternita comporta necessariamente la conferma degli impegni derivanti dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana, la conferma con l’aggiunta di un di un di più che è il proprio specifico carisma della Confraternita a cui si decide di aderire. C’è poi da dire che il Papa fa si un discorso generale rivolto a tutta la Chiesa e alle tantissime realtà ecclesiali, ma a un certo chiama in causa esplicitamente proprio quei pii esercizi, quelle processioni, quelle devozioni di cui tutti noi ci sentiamo protagonisti, tutte quelle tradizioni di cui giustamente tutte le nostre Confraternite si ritengono gelose custodi e depositarie. Forse qualcuno crederà che la pietà popolare con tutte le sue tradizioni, sia una faccenda per nostalgici di un tempo che non c’è più, o per ignoranti, per sempliciotti. E invece il Papa no! Lui ci prende estremamente sul serio. 
A un certo punto, il Papa elenca una serie di mali che affliggono tante società, anche quelle di lunga tradizione cattolica: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, una scarsa partecipazione all’Eucaristia, credenze fataliste o superstiziose che fanno ricorrere alla stregoneria. E qual è lo strumento per risanare questi mali? Naturalmente quella missionarietà che si traduce in carità di cui parlavamo prima. E qual è il punto da cui partire?  il Papa dice che lo strumento è proprio la pietà popolare  mediante la quale il popolo di Dio, spontaneamente si fa missionario, annunciatore, operatore di carità. Cita il documento di Aparecida il Papa e dice che con la pietà popolare “il popolo evangelizza continuamente sé stesso”; poi riprende le parole di Benedetto XVI, il Discorso durante la Sessione inaugurale della V Conferenza generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, 2007, e dice che la pietà popolare è un « prezioso tesoro della Chiesa cattolica » e che in essa « appare l’anima dei popoli latinoamericani ». Verrebbe il desiderio di diventare brasiliano o argentino solo per sentire rivolte a noi delle parole così belle. Ma possiamo secondo me egualmente sentirle nostre quelle parole. Possiamo sentirle risuonare pressappoco così: in essa, nella pietà popolare, appare l’anima del popolo italiano, l’anima del popolo di Puglia, l’anima delle Confraternite, delle famiglie di tutti i fedeli…
Abbiamo un tesoro prezioso e inestimabile, un complesso di tradizioni e usanze legate innanzitutto al culto eucaristico, alla devozione mariana, alla devozione per la Passione e Morte di Nostro Signore. Nelle nostre Confraternite, nelle nostre famiglie, noi sappiamo quanto sono preziose le nostre cose; sappiamo quanto siamo orgogliosi di averle ricevute dai nostri padri, sappiamo quanto siamo tutti desiderosi di trasmetterle ai nostri figli. Diceva Pio XII che la tradizione è come una fiaccola, sempre accesa, che passa da una generazione all’altra. Noi sappiamo bene cosa custodiamo. Ma finché ci limitiamo a saperlo noi, abbiamo il dovere di chiederci, stiamo facendo di quella pietà popolare ciò che la Chiesa, mediante le parole del Papa, ci chiede di fare? In altre parole, abbiamo il dovere di chiederci, noi Confraternite, noi Confratelli siamo Chiesa? Siamo credibili in quello che facciamo? L’alternativa è terribile. Perché se non siamo credibili allora siamo dei feticisti.
E per essere credibili, continuo a domandarmi, le nostre tradizioni, le nostre processioni, sono o no un veicolo di evangelizzazione? Le facciamo per noi, per autocompiacerci in una sorta di tristissima auoreferenzialità, oppure – per usare ancora ancora le parole di Francesco, portano in sé la grazia della missionarietà, dell’evangelizzazione?
L’Evangelii gaudium, conclude il gruppo dei paragrafi dedicati alla pietà popolare con delle parole bellissime, rivolte evidentemente ai nostri Pastori, ai Vescovi e ai sacerdoti: “Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla (…). Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione” (126) (… )Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare…
Insomma, il Papa il compito ce lo affida, e lo fa con grande fiducia. È un compito di grande responsabilità. Sta a noi saperlo cogliere e saperlo tradurre nel pratico, nella vita quotidiana delle nostre famiglie e delle nostre comunità Confraternali. Qui nessuno ci chiede di essere qualcosa di diverso da quello che siamo; ci si chiede piuttosto di  vivere fino in fondo il nostro carisma, la nostra identità, la ragione stessa per la quale, a suo tempo, le nostre Confraternite sono state fondate. È bene ricordarlo: facendo salve le peculiarità di ogni esperienza locale, la maggior parte delle Confraternite erette in Italia nei secoli scorsi, per lo più dopo il Concilio di Trento, avevano in comune alcune importanti caratteristiche: la conservazione e la trasmissione di alcune pie pratiche di culto, e l’esercizio fattivo di opere di carità cristiana, ad intra, cioè fra gli stessi Confratelli, ma anche ad extra, aprendosi cioè ai bisogni e alle necessità del territorio in quella Confraternita era nata e di cui, in qualche modo era espressione. E come abbiamo visto, come ci insegnano tutti i Papi, almeno negli ultimi 70 anni, entrambe le caratteristiche possono essere considerate come due aspetti complementari dell’unico impegno di ciascuna Confraternita a testimoniare la Vera Fede secondo il proprio specifico carisma, e di tradurre quella fede in opere di carità. L’una e l’altra sono momenti della medesima opera di evangelizzazione.
Allora si, possiamo dire che il cerchio in qualche modo si chiude. Se è vero che la prima forma di carità è la verità; se è vero che la Verità, quella maiuscola, la Verità di Cristo, è il soggetto, è il protagonista, la ragione ultima, il fine dell’evangelizzazione; se è vero che le nostre tradizioni, le nostre processioni devono essere e sono veicolo di evangelizzazione, allora si che possiamo e dobbiamo dire che la pietà popolare E’ carità. Ma abbiamo visto anche che, se l’annuncio è fondamentale, esso rimarrebbe poi monco, inesitato, incompleto, se ad esso non facesse seguito una fattiva attenzione ai bisogni spirituali e materiali di chi è intorno a noi; di chi attende una parola che dia speranza, ma anche una mano che dia un aiuto. Sempre a proposito di quella credibilità cui accennavo prima: se tanto è il vigore con cui difendiamo e custodiamo le nostre tradizioni, altrettanto vigore dovremmo usare nell’essere operatori di carità fattiva, pratica, direi quasi elementare. E lo abbiamo visto: le due cose si presuppongono, non esistono l’una senza l’atra. Rappresentano entrambe la più intima essenza del carisma di tutte le nostre Confraternite. Se tralasciassimo una delle due cose, appunto, smetteremmo di essere quello per cui siamo nati.
Naturalmente, l’esercizio della carità, come tutta la vita di una qualunque Confraternita, ha bisogno di risorse innanzitutto umane, e poi anche materiali. È chiaro che le risorse materiali sono una conseguenza di quelle umane. Se oggi ho tanti aspiranti che chiedono di entrare nella Confraternita, domani avrò tante risorse umane, avrò un patrimonio di competenze, di buona volontà, di tempo e capacità che i Confratelli avranno la gioia di donare alla Confraternita. E come faccio ad attirare le persone? Quando una Confraternita si impegna per essere quel che deve essere, quando rimane ben salda nel solco tracciato dagli antenati, da quelli che ci hanno preceduto e che hanno voluto e fondato quella Confraternita, quando insomma si ha ben chiara e forte la consapevolezza della propria identità, il resto lo farà lo Spirito Santo. Cominciamo insomma a combattere la buona battaglia con i soldati e con risorse che oggi ho a disposizione. Se io Confraternita realizzo me stessa, il mio carisma, la mia identità, nei momenti di culto, nelle pie pratiche della tradizione, nelle opere di carità secondo le mie concrete disponibilità, insomma se io Confraternita saprò essere un valido operatore di evangelizzazione, allora si che sarò credibile. E se sarò credibile, allora maturerò anche quel fascino, quell’attrattiva nei confronti di tanti fedeli che diranno: voglio esserci anche io, voglio farne parte. (…)


Bò... le parole migliori vengono sulla bocca sempre un attimo dopo che il microfono non c'è più... Ad ogni modo, nel servizio di Tele Dehon anche uno stralcio dell'intervista che mi è stata fatta

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