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domenica 6 dicembre 2015

Fra rosolio, pastorali e pizzica-pizzica. La novena dell'Immacolata prima della guerra

Angelo Diofano

Ed ecco uno spaccato della Taranto prima della guerra nel periodo natalizio. Tanto appare nel racconto di Vincenzo Caso, un musicante deceduto qualche anno addietro. Faceva parte di uno di quei gruppetti di suonatori che nelle giornate della Novena all’Immacolata (e poi a quella in onore di Gesù Bambino) eseguivano nelle case le musiche tradizionali natalizie. 
Nella sua memoria restavano ben impressi i nomi degli altri colleghi. Con lui (al clarinetto), c’erano Antonio e Pippo Vernaglione, rispettivamente al flicorno e al flauto, Piccolo al trombone, Cianciaruso al corno, i fratelli Giudetti alle percussioni e Papadia alla tromba: tutti residenti in Città vecchia e appartenenti al medesimo complesso bandistico denominato “Piave”.
Ogni sera venivano visitate fino una ventina di famiglie, dai vicoletti del centro storico fino alle case delle Tre Carrare, che in quel tempo stavano sorgendo numerose nei pressi dell’Arsenale della Marina Militare. Il primo giro veniva effettuato il 29 novembre, giornata che segnava l’inizio della novena all’Immacolata. Prima dell’arrivo dei musicanti la famiglia assieme ai vicini recitava preghiere appropriate a quel tempo liturgico oppure poste del Santo Rosario Tutti, riuniti davanti alla statuina della Madonna custodita sotto un’artistica campana di vetro e illuminata ai lati da candele o lampade a olio. 
“Attaccavamo la prima pastorale sul pianerottolo ed entravamo in casa suonando. Dopo un’altra melodia tradizionale – raccontava Vincenzo Caso - accompagnavamo un coretto di bambini che eseguiva il canto “O Concetta Immacolata”. Seguivano le litanie lauretane, arrangiate in modo tutto particolare. A conclusione, qualche allegro sprazzo di “pizzica pizzica”, sulle note di “Cicerenella teneva teneva…” 
Le note musicali si spargevano per tutto il palazzo e raggiungevano le strade vicine, che allora erano silenziose per l’assenza di traffico. Molti si fermavano e cercavano d’individuare la provenienza della musica. 
E al termine il padrone di casa non poteva esimersi dall’offrire il bicchierino di rosolio. “Io solitamente preferivo farne a meno – raccontava Caso – ma i miei amici mi spingevano ad accettare affinché, di nascosto, lo passassi a loro per versarne il contenuto in una bottiglietta infilata nella cinta dei pantaloni e munita di un minuscolo imbuto. Ne veniva fuori un miscuglio davvero incredibile, ma data la povertà di quei tempi non sin andava troppo per il sottile”. 
Il compenso ai musicanti veniva elargito al termine della Novena.
L’ultimo servizio veniva effettuato alle dieci di sera e bisognava mettercela tutta senza steccare. Ma questo appariva veramente difficile, data la stanchezza e soprattutto i bicchierini di rosolio. “Ma bisognava mettercela tutta –continuava il racconto - per meritare l’invito a cena che ogni sera veniva offerta a turno dalle famiglie, a conclusione del giro, interamente a base di portate di pesce e frutti di mare. Entro mezzanotte si doveva far rientro a casa,. A parte qualche lampada, dalla luce fioca (un’illuminazione quasi da cimitero) posta agli angoli delle strade, si era pressocchè al buio. Però si camminava tranquilli, senza pericolo di essere importunati. Spesso ci imbattevamo nella milizia fascista che, dopo averci benevolmente preso in giro, ci augurava la buonanotte. L’indomani ci saremmo alzati presto per recarci al lavoro, portandoci appresso lo strumento, pronti per un altro giro nel pomeriggio”.
Dopo la festività dell’8 dicembre, il gruppetto di musicanti era daccapo all’opera per la Novena a Gesù Bambino, a partire dal 16 dicembre, da effettuarsi questa volta davanti agli artistici ed allora monumentali presepi, tali da occupare quasi l’intera stanza. Identiche le modalità del cerimoniale, solo che al posto de “O Concetta Immacolata” si eseguiva “Dalle celesti sfere”, popolarissimo canto tarantino dedicato al Bambinello.
Negli anni Ottanta un gruppo di musicanti volle riproporre la tradizione. L’iniziativa fu di Tonino Rosa, attualmente componente della banda cittadina “Santa Cecilia”, che vi partecipava sin da piccolo, negli anni cinquanta, nel coro dei bambini e successivamente come suonatore di tromba, quando entrò a far parte della banda “Combattenti”. Tornato da Torino (dov'era emigrato per motivi di lavoro) per lavorare al centro siderurgico, a metà degli anni ottanta radunò un gruppetto di giovani suonatori e di piccoli coristi per la Novena in Città vecchia. L’accoglienza fu ogni aspettativa ma l’inarrestabile degrado edilizio e sociale e lo spopolamento del vecchio quartiere fecero daccapo sparire questa bella iniziativa.

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