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martedì 20 maggio 2014

L'Arcivescovo di Taranto ai fedeli nella solennità di San Cataldo

10 maggio 2014
Chiesa del Carmine
- Taranto -





Il discorso integrale di S.E. mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto, in occasione della festa patronale di San Cataldo. 
Fonte: Sito dell'Arcidiocesi di TAranto

Per il video ringraziamo la nostra amica Luisa Marturano


Carie sorelle e cari fratelli,
ci ritroviamo a sperimentare nella solennità del nostro Patrono, San Cataldo vescovo di Taranto, la Gioia del Vangelo. È una gioia che nasce dall’annuncio ricevuto dalla testimonianza di questo nostro grande padre; annuncio che si manifesta nella sua protezione e nella nostra devozione popolare. La gioia nasce dal fatto che ci sentiamo parte di un popolo, amato e salvato a prezzo del sangue di Gesù, l’unico e grande Pastore buono.

Dobbiamo, cari tarantini, esprimere grande gratitudine all’azione creativa dello Spirito di Dio, che nella bimillenaria storia della nostra Chiesa locale ha suscitato in ogni angolo della diocesi espressioni della fede, che continuamente ricordano a ciascuno che la Chiesa è viva, perché è chiamata a trasmettere, a testimoniare la fede, anche con gli atti semplici ed evocativi delle nostre processioni. Alle processioni si devono unire le testimonianze della carità, l’accoglienza e l’attenzione a chi è più colpito dalla crisi che attraversiamo.

La pietà popolare, infatti, manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere e che rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede e di testimoniarla attraverso la carità.

Papa Francesco, attingendo a piene mani nei documenti dei suoi predecessori e nel documento di Aparecida, parlando della pietà popolare la descrive come «spiritualità popolare» o «mistica popolare». Si tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici. Così oggi, seguendo il nostro santo Patrono, pratichiamo un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari; testimoni fattivi della speranza. Chiediamo a San Cataldo la grazia di essere, di uscire da noi stessi e di essere veri compagni di viaggio dei nostri fratelli

Il partecipare a queste manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, come voi avete fatto oggi, assiepandovi lungo le vie di Taranto Vecchia e del Borgo, è in sé stesso un atto di evangelizzazione. Noi oggi, con il nostro peregrinare, affermiamo con semplicità che vogliamo bene a Cristo, che vogliamo bene a San Cataldoe vogliamo nene a Taranto.

Una fede che si abbandona fiduciosa non è meno teologale di altri modi di vivere la propria fede. Anzi. Proprio il papa ci incoraggia ad avvicinarsi a questo modo di comprendere la fede dei poveri, la fede che cerca senza tregua di amare.
Questa è la domenica cosiddetta del Buon Pastore, in tutte le chiese del mondo dalla messa vespertina di oggi e in quelle di domani, risuonerà uno dei salmi più belli. Il Salmo 22 che ci fa pregare con una fede che si abbandona e che allo stesso tempo, rischia perché, cari fratelli, una fede che non azzarda, non è una fede autentica, perché essa è farmaco di speranza, di fiducia e soprattutto di coraggio e di audacia. Non possiamo rimanere a guardare le difficoltà, ci dobbiamo buttare nella mischia per superarle, con la grazia di Dio e con l’impegno di tutti.
Preghiamo quindi con il  salmista:
Anche dovessi andare per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Il credente non arretra di fronte a nessuna difficoltà, anche se il mondo intorno a noi non sembra cambiare, se le difficoltà, come un cerchio stringente ci scoraggiano perché sembrano lontane e sconosciute vie di risoluzione ai nostri molteplici problemi, noi non dobbiamo «dare tregua a Dio» e nemmeno agli uomini, nella preghiera e nell’impegno comune.

Pregheremo senza mai stancarci, pregheremo Dio e pregheremo anche gli uomini! Sollecitandoli, appellandoci alle coscienze. Non ci stancheremo di visitare, di interpellare tutti quelli che, anche nel potere centrale, hanno un grande debito con la città di Taranto.

Nei festeggiamenti del Patrono non possono non essere presenti tutte le emergenze della nostra città; l’indifferenza non ci tenti e né ci colga, la rassegnazione. Abbiamo un’arma che ci è data nel nostro sistema democratico: il voto. Usiamolo bene ed usiamolo con coscienza.
In ogni angolo della città spuntano presidi di protesta che scongiurano licenziamenti. Pensiamo a quelle famiglie. Il loro dramma non può non interessarci. Non si può andare avanti“ammortizzando” le situazioni lavorative, bisogna cambiarle. E’ ora di ricostruire. Con urgenza e lungimiranza, non solo per salvare l’esistente o appena il proprio interesse. Con una visione ampia, aperta al vero bene di Taranto nelle sue molteplici risorse senza fossilizzarci in un solo aspetto.
Ho fiducia che Dio ci aiuterà a rialzarci, perché siamo tutti qui che professiamo la nostra fede e la nostra fede è vera se è impegnata, è vera se è solidarietà.
Penso e prego sempre più per l’emergenza salute e ambiente; lavoro e occupazione; poi al degrado urbano e alla Città vecchia che è il cuore della nostra storia. Passando per le nostre strade ho benedetto i negozi e con loro la piccola e media impresa perché ci sia anche in questo campo una ripresa tra noi. Ho benedetto tanti bambini che sono accorsi festanti e che sono il nostro futuro.

Tocca a noi trasmettere la Risurrezione facendo quotidianamente rinascere il mondo intorno a noi. Congiungiamo sì le mani in preghiera, ma con le maniche rimboccate!
Nel discorso di consegna del simulacro del santo al Sindaco di Taranto, ho chiesto indirettamente a tutti i cittadini un atto di amore per la città, ispirato dal servizio evangelico.
Il servizio che nasce dal Vangelo, non è frutto di sottomissione e di schiavitù, ma di amore, di amore che si dona, di amore che non antepone nulla alla persona che ama. L’amore evangelico va liberandosi ogni giorno da qualsiasi forma di egoismo. Il ruolo della chiesa tarantina continuerà ad essere quello di tessere relazioni e attenzioni perché sia rispettata la dignità della persona, la vita, la famiglia, l’educazione delle nuove generazioni e, particolarmente l’attenzione ai più bisognosi, e di stimolo perché tutti abbiano voce e ascolto.

Il pensiero conclusivo vorrei mutuarlo dalla metafora della vita del nostro Patrono, perché mi sorprende sempre la modernità dei santi. Sì perché San Cataldo è un santo europeo, probabilmente naufrago sulle nostre coste. Accogliamo con generosità i rifugiati e i profughi e dopo viaggi di stenti giungono sulla nostra terra. E ancora una volta preghiamo per il ritorno dei nostri due marò in patria.

L’accoglienza, l’apertura dei tarantini, scaturite essenzialmente dalla loro cattolicità, può trasfigurare ancora una volta Taranto a partire dalla morale e dalla fede e dalla operosità dei suoi cittadini in un cammino comune.
Voglia San Cataldo rinnovare il suo prodigio e infonda a questa Città il coraggio del rischio e l’audacia di voler cambiare le cose secondo il cuore di Cristo.

Una buona festa per tutti!

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